A Torino stai studiando informatica, mentre a Kabul avevi già iniziato un altro percorso.
Sono arrivata a Torino a gennaio 2022 e ho appena iniziato il terzo e ultimo anno del mio percorso universitario in Informatica. In Afghanistan, studiavo Scienze Politiche e stavo per concludere l’ultimo anno di studi prima di lasciare Kabul. Qui a Torino, ho deciso di cambiare indirizzo verso l’informatica, una disciplina che mi aveva sempre affascinata. Ho notato però che qui sono poche le ragazze che scelgono di intraprendere questa strada. Nella mia classe, ad esempio, su 80 o 90 studenti, siamo solo in 7 o 8 ragazze.
Com’era la vita a Kabul? E qual era la condizione delle donne prima dell’agosto 2021?
Anche prima che i talebani prendessero il potere, in Afghanistan c’è sempre stata una situazione da guerra civile. Per questo nelle province e nelle periferie le donne non avevano troppa libertà; nella capitale invece la situazione era diversa, e per noi ragazze c’erano molte più opportunità. Il Afghanistan tra il 70 e il 75 per cento della popolazione è formato da persone tra i 15 e i 30 anni, siamo un Paese molto giovane. Chi voleva studiare, poteva farlo: ci si poteva iscrivere all’università, lavorare nel pubblico, nei ministeri o come dottoresse. I problemi, anche di violenza sulle donne, erano soprattutto nelle province”.
Com’era visto lo studio dalla tua famiglia?
La mia famiglia è sempre stata molto aperta. Noi siamo in tre fratelli, non tanti rispetto ad altre famiglie in Afghanistan. Ho una sorella e un fratello e, dopo aver lavorato in una ong, hanno studiato entrambi business management.
Com’è nata l’opportunità di venire in Italia?
Ho avuto l’opportunità di lasciare l’Afghanistan grazie a una famiglia italiana che avevo conosciuto mentre ero ancora lì. Quando i talebani sono arrivati, la situazione è precipitata: tutti cercavano di scappare e i governi stranieri hanno avviato i programmi di evacuazione. In quel momento, abbiamo tutti capito che quella poteva essere l’unica via di salvezza.
Sono riuscita a partire per l’Italia grazie all’aiuto di questa famiglia, che è riuscita a far inserire il mio nome su uno dei voli di evacuazione. Era una situazione molto caotica, con tantissime persone che volevano lasciare il Paese, ma sono stata contattata per essere inclusa nel volo. Anche se la situazione era estremamente difficile, sono riuscita ad entrare all’aeroporto di Kabul senza incontrare particolari ostacoli.
E una volta arrivata in Italia?
Sono arrivata a Milano a settembre 2021 e vi sono rimasta fino a dicembre. Durante quel periodo, ho frequentato un corso di italiano di livello A2/B1. Sin da subito ho voluto imparare l’italiano il più possibile, e questa famiglia mi ha dato un grande supporto, poiché avevo l’intenzione di ricominciare a studiare il prima possibile. Grazie a loro, sono entrata in contatto con la Fondazione Emmanuel.
Quando hanno pubblicato il bando per le borse di studio, li ho subito contattati. Mi hanno fatto una sorta di intervista per conoscermi meglio e, dopo un paio di giorni, mi hanno chiamata per un incontro a Torino, la città che avevo scelto tra le varie opzioni. Qui ho incontrato altre due ragazze: tutte e tre siamo state assegniste di borsa di ricerca del progetto della Fondazione Emmanuel, rispettivamente con Fondazione CRT, Fondazione Compagnia di San Paolo e REAM SGR.
Quando ho conosciuto l’ente che ci ha sostenuto era febbraio del 2022. Ero e sono davvero molto contenta di aver avuto questa opportunità: borsa di studio, ma anche trasferimento a Torino e servizi annessi come alloggio, senza i quali tutto questo non sarebbe stato possibile.
Le manca l’Afghanistan? Nella vita di tutti i giorni qual è il cambiamento più importante che hai vissuto?
Sì, certo, è il Paese in cui sono nata e cresciuta. Mi manca tanto. Poi è anche molto bello, ma non tutti all’estero ne conoscono le bellezze.
Dopo tre anni dal mio arrivo in Italia, penso di essere più responsabile. Quando sono arrivata qui avevo 21 anni: prima pensavo solo a frequentare l’università, mentre adesso guardo al futuro, il mio e quello della mia famiglia. Sento di dover fare tante cose.