Come può lo spazio insegnarci ad essere più green? Che ruolo ha oggi l’intelligenza artificiale in questo settore? E quali saranno le nuove frontiere delle missioni spaziali?
Per trovare una risposta a queste domande abbiamo cercato direttamente dietro le quinte del settore aerospaziale intervistando Alessandro Balossino, alumnus del corso di alta formazione Talenti per l’Impresa della Fondazione CRT.
Ingegnere meccatronico cresciuto tra il Politecnico di Torino e il Jet Propulsion Laboratory della NASA di Pasadena, oggi Alessandro è tra i giovani “cyberastri” più promettenti d’Italia secondo Forbes ed è a capo dell’unità di ricerca e sviluppo dell’azienda torinese specializzata in microsatelliti per l’esplorazione spaziale e per l’osservazione della terra: Argotec. Qui, insieme al suo team, lavora allo sviluppo della prossima generazione di tecnologie e prodotti per le future missioni spaziali, con uno sguardo alla Luna, a Marte e alla Terra.
Alessandro Balossino, sei entrato nel settore aerospaziale nel 2012, durante la tua laurea in ingegneria meccatronica: come hai scoperto la strada per lo spazio e come hai capito che fosse quella giusta per te?
Devo tutto alla mia tesi di laurea: all’epoca gli studenti di ingegneria meccatronica del Politecnico di Torino avevano la possibilità di dedicare sei mesi full time alla stesura della tesi. Per approfittare al massimo di questa opportunità, il più degli studenti cercava bandi e progetti che permettessero di percorrere questo periodo all’estero. Insieme a un mio compagno di corso venni a conoscenza di un’offerta irripetibile, una di quelle per le quali vale la pena lavorare alla candidatura fino a notte fonda: uno scambio con il Jet Propulsion Laboratory della NASA come Junior Visiting Researcher.
Passammo tutti gli step e fu così che ci ritrovammo entrambi a Pasadena, vicino a Los Angeles, intenti a scrivere le nostre tesi direttamente nei laboratori della NASA. Il resto si sa: una volta entrati nello spazio non si torna più indietro.
Non solo Los Angeles: a pochi mesi dall’esperienza alla NASA sei tornato negli States per cinque mesi come technology scout a San Francisco, con Confindustria Genova. Lavorare per l’aerospace negli Stati Uniti è diverso dal farlo in Italia?
Al momento sono due mercati che viaggiano a velocità diverse. Negli Stati Uniti ci sono stati molti investimenti privati in ambito spaziale e si è adottato un approccio molto più incline al rischio: in questo modo si sono sperimentate molte tecnologie avanzate in pochissimi anni.
In Europa non siamo ancora riusciti ad avere un mercato così dinamico e siamo ancora legati ad un approccio più conservativo, anche se si iniziano a vedere dei segnali di cambiamento anche da questa parte dell’oceano.
Appena rientrato dagli USA sei subito entrato nel corso di Talenti per l’Impresa. Dopo la Silicon Valley, cosa si può ancora imparare?
Scoprii la call per Talenti per l’Impresa grazie una newsletter del Politecnico, mentre ero ancora negli USA. Il mio periodo alla NASA stava volgendo al termine ed ero disperatamente alla ricerca di qualcosa che movimentasse la mia idea di rientro in Italia: il bando di Talenti per l’Impresa sembrava perfetto!
Era ancora il 2013, per questo nonostante fossi con un piede nello spazio e con l’altro nelle startup, stampai e imbustai la mia candidatura imbucandola nella cassetta della posta della NASA: un’immagine che ricorderò per sempre!
Talenti per l’Impresa si rivelò sin da subito fondamentale nella definizione di quello che sarebbe stato il mio percorso: con il suo sguardo a tutto tondo sul mondo dell’impresa e delle startup, mi ha aiutato a guardare il progetto nel suo insieme, a ricercarne il valore, ad indagare il mercato, a studiare il posizionamento di un servizio, a strutturare uno speech, ad imbastire un business plan.
Ma Talenti per l’Impresa è anche e soprattutto networking: nonostante siano passati più di 10 anni, oggi sono ancora in contatto con alcune delle persone che ho conosciuto grazie al corso. Un grande punto di forza da riconoscere al progetto è senz’altro l’eterogeneità dei suoi partecipanti, tutti con background formativi e professionali diversi che messi insieme creano un ambiente stimolante e arricchente. Un’opportunità di crescita importante che consiglio a tutti.
Dal 2020 sei alla guida del dipartimento Ricerca e Sviluppo di Argotec, realtà italiana di riferimento per il settore aerospaziale: aziende di queste dimensioni cosa possono imparare dalle startup?
Argotec si occupa principalmente dello sviluppo di piccoli satelliti per l’esplorazione del sistema solare e per l’osservazione della terra e di servizi per il volo umano spaziale. Il mio compito è quello di analizzare le tecnologie più innovative sul mercato, di sviluppare la roadmap tecnologica, di definire le partnership con Università e centri ricerca per essere sempre più competitivi attraverso lo sviluppo di prodotti e progetti innovativi.
Nonostante non abbia mai lavorato internamente a una startup, spesso ho l’opportunità di confrontarmi con questo tipo di realtà sia come parte del mio lavoro in Argotec sia come supporto dell’ESA BIC Torino presso l’I3P: tra i grandi valori aggiunti propri delle startup da importare all’interno delle aziende già avviate ci sono sicuramente le metodologie innovative di progetto, strumenti come il value proposition canvas, modelli di business diversi da quelli tradizionali e l’approccio più aperto al rischio e ad innovazioni disruptive.
In ambito spaziale il fenomeno startup è davvero recente: per intenderci, SpaceX di Elon Musk è un caso precursore. Pian piano anche qui stiamo assistendo all’ingresso di nuovi player che a fianco dei grandi colossi contribuiscono a delineare il new space: uno spazio che conta su una maggior rapidità delle evoluzioni tecnologiche, un approccio commerciale al mercato e il ricorso a capitali privati.
Avremo molto da osservare!
Qual è oggi il ruolo dell’intelligenza artificiale nel settore aerospaziale?
L’industria spaziale è stata storicamente un po’ restia ad adottare soluzioni tecnologiche molto innovative, in quanto si è spesso preferito mettere al primo posto l’affidabilità dei sistemi, ricorrendo a soluzioni consolidate. Per questo motivo, inizialmente l’intelligenza artificiale ha fatto un po’ fatica ad imporsi con la stessa velocità che ha avuto in altri settori.
Oggi invece l’IA ha un ruolo di primo piano, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione di sistemi più autonomi, resilienti e intelligenti per l’autonomia a bordo degli oggetti spaziali. L’obiettivo è puntare a una sempre maggiore indipendenza dagli operatori da terra: le sfide non mancano, ma la direzione è irreversibile.
Si inizia a parlare di “green space”: anche lo spazio può essere sostenibile?
Sì, e almeno in tre modi diversi.
Innanzitutto gli oggetti nello spazio si prestano ad osservare gli effetti delle nostre azioni sulla Terra, aiutandoci ad assumere comportamenti più sostenibili. Attraverso di essi possiamo monitorare lo stato di salute del nostro pianeta, individuare le aree più inquinanti in cui le regole di limitazione delle emissioni di CO2 non sono rispettate e molto altro.
Il secondo tema è l’impatto dell’industria spaziale: l’impatto in termini di emissioni di CO2 è basso, così come è bassa la scala di produzione di oggetti nel settore aerospaziale che ogni anno produce un numero estremamente limitato di oggetti se paragonati ad altri mercati. Un tema critico è la spazzatura spaziale costituita da milioni e milioni di detriti che orbitano attorno alla terra e che possono rappresentare un pericolo per gli oggetti attivi. Esistono iniziative sia per la rimozione, sia per la regolamentazione preventiva, questione di livello internazionale di non facile soluzione ma su cui si sta lavorando affinché sia possibile “pulire il passato e non sporcare il presente”.
Inoltre, quella che oggi definiamo tecnologia green per lo spazio, domani sarà la tecnologia green per la vita di tutti i giorni, qui sulla Terra. Per fare qualche esempio, i pannelli solari hanno beneficiato della ricerca aerospaziale, così come sono stati perfezionati in questo ambito tecnologie come la produzione di metano dall’anidride carbonica o sistemi per coltivare utilizzando pochissime risorse idriche. La scarsità di risorse nello spazio fa in modo che si inventino soluzioni che minimizzano lo spreco, strategia che potrebbe tornarci molto utile nel prossimo futuro.
Dopo 10 anni di esperienza nel settore, quali sono per te oggi le nuove frontiere dell’esplorazione spaziale?
In dieci anni è cambiato tutto: secondo me abbiamo assistito a più trasformazioni in questi ultimi 10 anni che non dalla fine del programma Apollo a 10 anni fa: asset spaziali, mercati, player, tecnologie. In una parola, tutto.
Generalmente il grande pubblico sente parlare di spazio solo quando ci sono novità che meritano un titolo in prima pagina. In realtà, è per merito di ogni piccolo progresso aerospaziale che oggi la nostra quotidianità può contare su tecnologie di uso quotidiano, dalle mappe satellitari sui nostri telefoni al prelievo bancomat, dalle previsioni metereologiche alla televisione satellitare, dell’agricoltura di precisione al rilevamento di asset militari.
Se dieci anni fa assistevamo all’oligopolio di alcune aziende del settore, ora viviamo un periodo decisamente più aperto, destinato a diventare ogni giorno più dinamico. Nel 2033 la competizione sarà ancora più agguerrita e penso che questo contribuirà a farci a sviluppare prodotti e servizi sempre migliori sia per gli esploratori spaziali che per chi vive sulla Terra.
Quello che sta cambiando, in breve, è che a dettar legge oggi sono le sfide, e domani lo saranno ancora di più.