Da sempre allergica a ogni forma di ingiustizia, Anna Cattaneo si laurea in Scienze della Comunicazione e inizia a scrivere come giornalista delle questioni sociali che più le stanno a cuore, spaziando dalla parità di genere al reinserimento degli ex detenuti. Presto, però, arriva la necessità di passare dalla carta ai fatti e nel 2012 entra nel terzo settore come progettista sociale presso la Cooperativa Colibrì di Cuneo.
In poco tempo Anna inizia a collaborare anche per altri enti del territorio e nel 2016 si iscrive alla prima edizione di Talenti per il Fundraising per imparare tutto ciò che serve per perfezionare al meglio i suoi progetti e le sue campagne di raccolta fondi.
A cinque anni di distanza, oggi è una fundraiser e progettista con diverse collaborazioni nel territorio della Granda, una solida specializzazione nel settore sociale e un’importante esperienza presso associazioni ed enti ecclesiastici.
L’abbiamo intervistata per conoscere meglio la sua storia, il contesto in cui opera e cosa significhi oggi lavorare nel fundraising.
Come ti sei avvicinata al terzo settore e perché hai deciso di specializzarti in fundraising?
È iniziato tutto nel momento in cui ho capito che per sentirmi realizzata avrei dovuto lavorare nel sociale, un mondo che mi offre ogni giorno la possibilità di cambiare in meglio ciò che mi circonda. Per questo ho deciso di lasciare il mio percorso da giornalista per salire a bordo del non profit, inizialmente come progettista sociale e responsabile della comunicazione per la Cooperativa Colibrì di Cuneo. Nel momento in cui ho letto il bando della prima edizione di Talenti per il Fundraising, mi sono resa conto che in realtà non mi stavo occupando solo di progettazione e comunicazione, ma anche di fundraising, senza però avere le basi necessarie per farlo al meglio. Convinta da sempre che la formazione di qualità debba essere una costante nella vita professionale, ho colto questa opportunità al volo, anche grazie al suo programma pensato per venire incontro anche a chi lavora.
Cosa ti sei portata a casa da Talenti per il Fundraising?
Talenti per il Fundraising mi ha reso cosciente dell’esistenza della professione del fundraiser e di ciò di cui si occupa, una figura precisa con i suoi parametri ben determinati. Non solo: mi ha permesso di conoscere e di entrare in una community di colleghi con cui tutt’oggi mi confronto e collaboro: un network indispensabile per sentirsi meno soli professionalmente, soprattutto se come nel mio caso si svolge la libera professione. Una rete che da sempre ha fatto da supporto per rispondere ai dubbi più svariati che si incontrano nella vita di tutti i giorni, da come impostare una fattura a come delineare i dettagli di una campagna.
Qual è la tua campagna di raccolta fondi di cui vai particolarmente fiera?
Una campagna che mi porterò sempre nel cuore è BunDaMangé, studiata con l’Alberghiero Giolitti di Mondovì e la Fondazione Cucine Colte per creare nuove opportunità professionali per studenti ed ex studenti con disabilità. La campagna è nata all’interno del progetto Donoscuola della Fondazione CRT, lo “spin-off” di Talenti per il Fundraising che ha formato e accompagnato le scuole di Piemonte e Valle d’Aosta desiderose di sperimentare la strada della raccolta fondi per i loro progetti.
La proposta dell’Alberghiero di Mondovì prevedeva di realizzare un servizio catering inclusivo che desse lavoro a studenti ed ex studenti. L’obiettivo era ambizioso: 45.000 euro per acquistare attrezzature da cucina, divise e un furgone refrigerato. La campagna ci ha impegnato per tutto l’anno scolastico 2020/2021 dando l’opportunità al team di testare gli strumenti più svariati, dall’asta ai colloqui, alcuni dei quali nuovi anche per me. Il successo della campagna è stato travolgente, tanto da raccogliere 7.000 euro in più rispetto a quanto prefissato per un totale di 52.000 euro raccolti. Gli ingredienti per la campagna perfetta c’erano tutti: dal team affiatato e interessato alla possibilità di mettere in campo sia la strategia che la creatività, elementi non sempre scontati.
Ti definisci “una fundraiser di provincia”. Cosa significa fare questo lavoro nel tuo territorio di riferimento?
BunDaMangé, Turna Sì, Abité… Basta fermarsi ai titoli delle campagne e dei progetti che ho seguito per capire quanto sia importante il legame con il territorio. È essenziale lavorare sulle relazioni con i donatori, con gli enti e con le persone che orbitano attorno ad ogni progetto, a partire dai valori e dalla cultura in cui si identificano.
La parola d’ordine è il passaparola: le persone mi associano ai progetti che ho seguito e alle realtà per cui ho lavorato ed è indispensabile conquistare e mantenere la fiducia di ogni contatto. Quello della Granda è un territorio dalle immense potenzialità e opportunità, ma è fondamentale continuare ad educare le realtà del terzo settore e le persone alla cultura del dono sottolineando quanto sia importante investire con professionalità in progettazione, comunicazione e fundraising, quest’ultimo ancora troppo spesso sottovalutato.
A chi consiglieresti di iscriversi alla prossima edizione di Talenti per il Fundraising?
A chi ha lo spirito e l’ambizione di cambiare il mondo. Per ottenere risultati bisogna investire in professionalità e il terzo settore ha un bisogno urgente di fundraiser capaci e preparati, ha bisogno di riconoscere il fundraising per quello che è: un’attività strutturale, e non accessoria e – come troppo spesso accade – da svolgere solo quando c’è un “buco di bilancio”, nei ritagli di tempo o affidandola a figure interne non formate.
Talenti per il Fundraising è un’opportunità unica nel suo genere, di qualità e gratuita, in grado di fornire tutti gli strumenti e tutti i supporti necessari per intraprendere nel migliore dei modi questo cammino professionale. Un percorso da consigliare assolutamente a tutte e a tutti coloro che sognano di migliorare la realtà che li circonda.